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Venerdì, 19 Aprile 2024
Politica

Riforma mercato del lavoro, Lorenzon: "Giudichiamola con occhi dei precari"

Intervento del segretario generale di Cisl Treviso, Franco Lorenzon, sulla riforma del mercato del lavoro

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di TrevisoToday

Di fronte all’affermazione “Ora licenziamenti più facili” oppure “Ci saranno espulsioni di massa”, ogni riflessione di merito sulla manovra del Governo e sull’articolo 18 più che un’impresa disperata, appare un esercizio inutile. Il carico ideologico posto da decenni su questo articolo dello
Statuto dei lavoratori del 1970, ora produce i suoi effetti negativi.

La Cgil raccoglie il dividendo politico di un’opposizione che non produrrà alcun effetto pratico, ma che la qualifica, per lo meno dal punto di vista mediatico, come il sindacato più attento alla difesa dei diritti dei lavoratori. Eppure Monti non è Berlusconi, e poco convincenti sembrano le
affermazioni di chi ritiene che si sia voluto “dare una lezione alla Cgil”.

Più probabile - a mio avviso - è la presa d’atto che la Cgil si colloca sistematicamente dalla parte della conservazione, al punto che il presidente del Consiglio ha avuto buon gioco ad affermare che si deve superare un metodo concertativo basato sul diritto di veto di qualcuno.

Come ho recentemente sostenuto, il vero angolo visuale da cui partire per giudicare la riforma del mercato del lavoro deve essere quello dei giovani che non trovano un impiego e, se lo trovano, è un lavoro precario (trattasi di circa 4.000.000 lavoratori in Italia, pari al 17,2% del totale). Ne va, pertanto, del futuro del nostro Paese.

Da questo punto di vista, il risultato del confronto con il Governo ha dato segnali positivi, anche se non conclusivi, con il miglioramento del trattamento economico e normativo del lavoro flessibile e la penalizzazione del lavoro precario. È infatti prevista la valorizzazione dell’apprendistato
(350.000 lavoratori) come contratto principale di avvio al lavoro, la trasformazione in rapporto di lavoro subordinato delle false partite Iva (365.000 lavoratori), vincoli più stretti per i co.co.pro. (400.000 lavoratori), per i quali però la Cisl chiede l’estensione della nuova Assicurazione sociale
per l’impiego, la regolamentazione più favorevole dei rapporti a tempo determinato (2.000.000 lavoratori), l’allargamento della platea dei beneficiari degli ammortizzatori sociali. Sono buone misure, anche se non ancora sufficienti, atte a contrastare la flessibilità “malata”. Si tratta di un
primo passo di un lungo cammino necessario per ridurre la distanza tra il lavoro più tutelato e quello precario, percorso che si potrà concludere solo con la riduzione del pesante carico fiscale che grava ancora sul lavoro.

Ovviamente qualcuno si domanderà che cosa c’entri in tutto questo la modifica dell’articolo 18. Tutti, senza eccezione, hanno circoscritto l’importanza del reintegro previsto da questo articolo al ruolo di deterrenza verso comportamenti irresponsabili delle imprese piuttosto che a quello
di effettiva tutela pratica del lavoratore. Non a caso le cause per discriminazione rappresentano circa il 3% del totale delle cause di lavoro, e nel 93,7% di quelle vinte i lavoratori hanno scelto l’indennizzo economico anziché il reintegro nel posto di lavoro.

In realtà, in un periodo in cui sono state fatte centinaia di migliaia di licenziamenti senza che nemmeno uno (a mia conoscenza) sia stato contestato come discriminatorio, è francamente difficile attribuire al solo reintegro il compito di tutelare il sacrosanto diritto di non vedersi
licenziato in maniera discriminatoria.

Giova peraltro ricordare che la riforma prevede che il licenziamento discriminatorio venga sanzionato con il reintegro non più solo per i lavoratori delle imprese con più di 15 dipendenti, ma anche per quelli che operano in aziende con meno di 15. E che per le altre tipologie di
licenziamento individuale sono comunque previste sanzioni economiche molto più consistenti di quelle attuali (15/27 mesi di indennizzo).

In realtà, il vero salto qualitativo che siamo chiamati a fare è quello di prendere coscienza che la competizione globale ci impone di ripensare le relazioni industriali in chiave più partecipativa e collaborativa tra lavoratori e imprese (come avvenuto con l’accordo tra Sindacati e Unindustria
di Treviso), senza naturalmente dimenticare le responsabilità e i comportamenti non sempre al di sopra di ogni sospetto di queste ultime. Di fronte alla concorrenza internazionale, rispetto alla quale nessuno può considerarsi garantito a prescindere, l’idea che lo “scontro di classe” rappresenti ancora il parametro fondamentale di regolazione dei rapporti tra capitale e lavoro, richiama alla mente la vicenda dei “polli di Renzo” dei Promessi Sposi, che si beccavano l’un l’altro mentre erano portati, assieme, a morte.

Per questo è molto più utile ridisegnare dei rapporti industriali di tipo non antagonistico - il modello a cui guardiamo è quello tedesco, che va ben oltre i ragionamenti sull’articolo 18 - facendo convergere le parti sociali verso il comune obiettivo di essere all’altezza delle nuove sfide
globali, dove è fondamentale, assieme alla riqualificazione del tessuto produttivo, la valorizzazione delle risorse umane, con una stabile occupazione e con un buon salario.

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