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Politica Vittorio Veneto

Bambina sottratta dopo l'affidamento: «Un nuovo danno emotivo»

L'opinione di Lara De Martin Pinter, responsabile della segreteria del coordinamento provinciale di Treviso di Fratelli d’Italia

La Segreteria Provinciale di Fratelli d’Italia, esprime solidarietà e sostegno alla famiglia affidataria di Vittorio Veneto alla quale, dopo sette anni, è stata “sottratta“ la bambina avuta in affidamento. Sulla questione è intervenuta Lara De Martin Pinter, responsabile della segreteria del Coordinamento Provinciale di Treviso di Fratelli d’Italia: «Riteniamo l’accaduto assurdo, perché non è stato portato a termine un processo di reinserimento nella famiglia naturale, e perché la famiglia affidataria sembra (solo adesso) non essere più adatta alle esigenze della bambina. Sappiamo benissimo che l’esperienza dell’affido ha carattere temporaneo, come sappiamo altrettanto bene che esiste una Legge, e più esattamente la “Legge 19 ottobre 2015, n. 173, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare. Una Legge nata per tutelare la “continuità affettiva“ dei minori, nella quale viene addirittura sottolineata la necessità di assicurare nell’interesse del minore “la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l’affidamento“ con gli affidatari anche quando “ritorna nella famiglia di origine o sia adottato da un’altra famiglia. Noi ci chiediamo come possano essere mutate le esigenze della bambina in modo così veloce da rendere quella famiglia non più adatta alle proprie esigenze? Si è trattato di un errore di valutazione fatto sette anni fa? Ma escludiamo questa ipotesi, in quanto il responsabile dell’unità infanzia, adolescenza, famiglia e consultori del distretto di Pieve di Soligo George Louis Del Re ha affermato possibili collaborazioni anche dopo la chiusura di questa esperienza. Siamo sicuri che non c’era nulla fare affinché la famiglia affidataria potesse ritornare ad essere idonea? Non si sanno quali esigenze siano cambiate. Sappiamo, invece, che i bambini hanno esigenze in continuo mutamento, dunque ogni famiglia potrebbe essere messa in dubbio e potrebbe subire un intervento simile? Quale danno subirà emotivamente la bambina, in seguito a questo allontanamento forzato? Tenendo conto che ha già vissuto un allontanamento dalla propria famiglia, con “deposito” in istituto, e ha già dovuto affrontare un inserimento in una nuova famiglia, e adesso? Adesso punto e a capo dovrà rivivere l’ennesimo distacco/abbandono. Un istituto può essere un luogo migliore? Un luogo dove nessuno conosce la bambina e il suo sviluppo e molto probabilmente le sue esigenze; ma davvero l’istituto é la scelta più adatta rispetto alla famiglia affidataria che l’ha cresciuta e sostenuta fino a ieri? Non è che dietro a tutto questo ci sia una motivazione economica? Un business delle case famiglia? Ricordiamo che circa un mese fa, proprio a Vittorio Veneto, si è svolto un convegno, con l’avvocato Cristina Franceschini, che da anni segnala le storture del sistema minorile sia a livello processuale, che economico».

L’avv. Francescini è intervenuta dicendo che: «A livello processuale manca spesso un contraddittorio e il giudice si affida per lo più a relazioni dei servizi sociali, di fronte ai quali i cittadini sono inermi, mentre a livello economico più volte si è parlato di un vero e proprio business a danno dei minori, Case famiglia e Comunità che arrivano a chiedere anche 400 euro al giorno per minore, senza alcuna specifica rendicontazione,  Istituti nei quali è stata, anche, riscontrata la presenza di giudici onorari dei tribunali minorili in qualità di dirigenti o di personale educativo”. Infine L’avv. Franceschini pone delle domande: “la legge 173 del 2015 ha previsto la possibilità per gli affidatari di adottare... ma forse è rimasta inapplicata? O vi erano motivi tanto gravi da non considerarla?” E la de Martin conclude: “Tutte ipotesi lecite, alle quali cercheremo di dare risposta, impegnandoci a capire, informare e cercare di cambiare questo stato di cose affinché casi del genere non avvengano più».

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