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Scuola Castelfranco Veneto

Cani nelle scuole: «La droga si combatte con ascolto e prevenzione, non reprimendo»

Il vice presidente dell’ordine degli psicologi del Veneto e responsabile della commissione scuola, Oscar Miotti: «I controlli di questo tipo non stimolano i cambiamenti ma anzi innescano meccanismi che spesso sono più dannosi che utili»

L’uso e l’abuso di sostanze in età giovanissima è un problema mai risolto. Nel 2019 anche l'eroina è tornata "di moda" tra i giovanissimi. Di questi molti la sniffano pensando che assumerla in questa modalità e non iniettandosela sia innocua. Errore gravissimo, letale. Qual’è la risposta delle istituzioni? I cani nelle scuole, dove di solito i sequestri non sono gran che rilevanti come quantità e si limitano alle droghe leggere, hashisc e marjiuana. Abbiamo così contattattato il vice presidente dell’ordine degli psicologi del Veneto e responsabile della commissione psicologia e scuola, Oscar Miotti per capire se è questa la strada da seguire.

Psicologi. «Come psicologi - spiega Miotti - dobbiamo andare  a capire perché un ragazzo vuole usare le droghe. Noi infatti avviamo dei progetti di prevenzione per capire quelli che sono i bisogni sottostanti. Le forze dell’ordine lavorano per creare delle zone pulite, drug free. Non bisogna portare la marjiuana a scuola, questo è certo, ma l'approccio repressivo non porta dei risultati e si stimola invece la voglia di trasgressione. I controlli di questo tipo non stimolano i cambiamenti ma anzi innescano meccanismi che spesso sono più dannosi che utili».

Madri che denunciano. Ci sono stati anche casi di ragazzi denunciati dalle stesse madri perché consumatori di hascisc e marjiuana. «Il caso delle madri che denunciano i figli - spiega il dottor Miotti - io lo valuto come un atto di debolezza e resa in quanto queste madri non hanno più gli strumenti per dialogare con i figli. Una madre che denuncia il figlio è alimentata dall’esasperazione. Noi dobbiamo metterli nelle condizioni di dialogare. Che la madre capisca la prospettiva del figlio e di questo i bisogni. Perché è questo che manifestano usando la droga, la mancanza di qualcosa, un vuoto da riempire».Cosa bisogna fare, quindi? «Il lavoro di prevenzione ha questo come obiettivo, quello di farlo sentire vivo senza che usi scorciatoie dannose come la cocaina se vuole essere sovra eccitato o l’alcool o le droghe leggere se invece ciò che si cerca è la sedazione. La repressione però innesca ulteriore bisogno di trasgressione e questo agevola la dipendenza».

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Esempi. Ci sono esperienze invece che secondo lei vanno seguite?  «Mentre stiamo parlando io mi trovo nel territorio di Tombolo, in una scuola media, con studenti che vanno dagli 11 ai 14 anni. Ho parlato con tanti ragazzini e genitori anche oggi. E con insegnanti. Non è previsto dal ministero della pubblica istruzione ma ci sono scuole che organizzano degli spazi di ascolto. Col principio di autonomia delle scuole ci sono appunti questi spazi».Perché è importante agire direttamente a scuola: «Intervenire dove c’è il problema, dove la criticità si crea, come può essere la scuola, è fondamentale. Ad esempio se c’è un atto di bullismo che avviene a scuola c’è la possibilità di avere una immagine veritiera di ciò che sta capitando. La percezione reale di ciò che capita è importante. A scuola vedo insegnanti , genitori, studenti

Il tabù. Rivolgersi allo psicologo non è la soluzione a cui si pensa di fronte a un disagio. Ancora oggi, perché «Il tabù di andare dallo psicologo esiste ancora: ma l'esperto in questione non deve intervenire nel caso di una patologia acclarata ma bisogna cominciare a  pensare allo psicologo come un facilitatore del benessere. Lo psicologo deve essere promotore del benessere, nulla di più. Non è solo quello che affronta una malattia ma è quello che invece promuove lo stare meglio». 

Psicologi di base. Lo psicologo non dovrebbe essere solo nei consultori e a psichiatria ma dovrebbe essere nelle davvero presente scuole e per esempio, sul territorio. Vicino al medico di base,  quella è l’idea che proponiamo. Spesso le persone hanno paura dello “stigma sociale” che si verifica se si va al consultorio o a psichiatria». Ci sono esperienze virtuose in questo senso? «Abbiamo esperienze di questo tipo a Castelfranco Veneto, a Belluno e a Carmignano di Brenta, che è stato uno dei primi comuni ad aprirsi a questo tipo di proposta e ha una ottima collaborazione con i medici. A Zerio in provincia di Verona e adesso a Padova è stato istituito un bando per un progetto che prevede psicologo di base sul territorio e nella scuola. Questo è importante perché è la Regione che lo finanzia».

Salute mentale un diritto. Insomma, un tabù da superare quello del rivolgersi allo psicologo. C'è chi prova vergogna, inspiegabilmente, a rivolgersi a questo tipo di figura: «Avercelo a portata di mano, in un momento di difficoltà, è una grande opportunità. Non si viene schedati, c’è la riservatezza. Non si può neppure dire che una persona c’è stata dallo psicologo. A parte il medico di base non lo sa nessuno. E i dati sensibili non sono a disposizione di nessuno. Qundi anche da questo punto di vista non c'è nulla da temere».

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