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Giustizia, in Veneto manca un assistente sociale su due. Polemiche da parte dell'Ordine

Negli Uffici di Esecuzione penale esterna della Regione la carenza di organico raggiunge il 48,5%: a rischio la misura della "messa in prova" che ha ridotto recidiva e costi della giustizia. Grave crisi di organico anche per la giustizia minorile

TREVISO «Gli assistenti sociali impegnati nell’amministrazione della giustizia in Veneto sono circa la metà di quelli previsti in organico, a fronte di carichi di lavoro in forte aumento. Il sistema rischia il collasso e l’applicazione della misura della messa alla prova, strumento efficace di reinserimento sociale e di prevenzione della recidiva, è messa a rischio. Lo stanziamento di un milione di euro da parte del Ministero per il coinvolgimento di 120 esperti di servizio sociale a livello nazionale – pur con contratti a tempo – è un primo passo, ma non basta. Occorre rafforzare questo impegno, e occorre fare presto, anche nella nostra regione». Così Monica Quanilli, presidente dell’Ordine degli Assistenti sociali del Veneto spiega la scelta del Consiglio regionale dell’Ordine di condividere le preoccupazioni e le richieste dei professionisti degli Uffici esecuzione penale esterna del Veneto che da venerdì 27 maggio a Venezia, manifestano davanti alla Cittadella della Giustizia di Venezia. La mobilitazione, indetta dalle Rappresentanze sindacali unitarie, intende, infatti, denunciare come la forte e prolungata carenza di assistenti sociali nei tre Uepe del Veneto – Padova - Rovigo, Venezia-Treviso-Belluno e Verona-Vicenza – metta a forte rischio nel territorio Veneto l’applicazione delle misure alternative al carcere, in particolare della messa alla prova.

Prevista dal 1989 per i minorenni, la messa alla prova è una misura alternativa al carcere, con cui la persona si impegna in un programma di recupero, di riparazione delle conseguenze del reato, di conciliazione con le vittime dei reati e di impegno in attività socialmente utili. Vista la validità di tale strumento, la misura è stata estesa dal 2014 anche agli adulti, sia in considerazione degli ottimi risultati in termini di riduzione della recidiva di reato (gli autori di reato che accedono a tali programmi hanno minori probabilità di compiere reati alla fine della condanna rispetto a quei detenuti che scontano la pena in carcere) e sia per il minor costo a carico dello Stato rispetto alla sola misura della reclusione.

Tale sistema vede impegnati per l’applicazione delle misure alternative alla detenzione, con la definizione ed attuazione di progetti individualizzati di recupero e reinserimento sociale, gli assistenti sociali degli Uffici esecuzione penale esterna (Uepe) e degli Uffici servizio sociale minorenni (Ussm), come pure la collaborazione dei servizi sociali degli enti locali, dei servizi socio-sanitari e delle associazioni di volontariato del territorio. Gli Uffici di Esecuzione penale esterna del veneto vedono la presenza di 51 assistenti sociali con una carenza di organico del 48,5%, a fronte di 9.582 persone seguite nell’anno 2014 (dati del Ministero della Giustizia). Il carico di lavoro è ulteriormente e significativamente incrementato negli anni 2015 e 2016 per l’aumento del ricorso all’istituto della messa alla prova. La carenza di assistenti sociali che investe anche l’Ufficio servizio sociale minorenni del Veneto (sede di Venezia), che vede la presenza di soli 8 assistenti sociali, il 43% in meno di quelli previsti dall’organico, impegnati sull’intero territorio del Veneto, con 842 minorenni presi in carico nell’anno 2014 e 917 nel 2015.

«Il blocco delle assunzioni e del turn over e l’organico sottostimato degli assistenti sociali dipendenti dal Ministero della Giustizia – aggiunge Monica Quanilli – incidono pesantemente sulla qualità del lavoro con le persone e sull’applicazione di tutte le misure alternative alla detenzione, precludendo la possibilità di investire nel coinvolgimento dei servizi sociali e socio-sanitari territoriali, delle associazioni e degli enti del terzo settore. Si tratta di risorse indispensabili per il reinserimento sociale delle persone con misure alternative e per garantire più sicurezza ai cittadini. La carenza di personale assistente sociale è un elemento che accomuna i servizi del Ministero della Giustizia ad altri enti del territorio Veneto, Comuni e Aziende ULSS in primis».

«Per questo – conclude Quanilli – chiediamo al Ministro della Giustizia idonei investimenti in termini di risorse professionali ed economiche nell’area delle misure alternative alla detenzione, con una dotazione organica di assistenti sociali adeguata all’attuale carico di lavoro. E chiediamo alle istituzioni un’attenta valutazione sull’allocazione delle risorse, perché spesso il benessere e la sicurezza dei cittadini non passano da misure repressive o di controllo, bensì da efficaci interventi di prevenzione, che ogni giorno le assistenti e gli assistenti sociali esercitano attraverso il proprio mandato professionale».

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