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Cronaca Conegliano

Trafitto alla gola da un "dardo" di legno, condannati i fratelli Garbellotto

Il grave incidente sul lavoro si verificò il 26 luglio del 2017 alla Garbellotto Botti di Conegliano. Piero, Piergregorio e Pieremilio, oltre ad un quarto componente del consiglio di amministrazione dell'azienda, hanno ricevuto un anno di reclusione. Otto mesi invece per Matteo Cestaro, resposnabile del servizio prevenzione e protezione

Non era una scheggia appuntita ma un vero e proprio dardo, lungo circa un metro e del diametro di quasi 10 centimetri quello che il 26 luglio del 2017 si era conficcato nella carotide di Dino Corocher, il 49enne operaio della Garbellotto Botti di Conegliano, vittima di un tragico incidente sul lavoro. Per quel fatto oggi, 22 settembre, Piero Garbellotto, 40 anni, noto anche per essere il presidente dell'Imoco Volley, e i suoi fratelli Piergregorio, 40enne, e Pieremilio, 38 anni, tutti di Conegliano, insieme al direttore generale Graziano Vavalet, 69 anni di San Fior, sono stati condannati a 1 anno di reclusione (con la sospensione della pena e la non menzione). Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il 52enne Matteo Cestaro, di Preganziol, ha ricevuto invece una sentenza pari a 8 mesi. Tutti dovevano rispondere dell'accusa di omicidio colposo per non aver rispettato le norme sulla sicurezza sul posto di lavoro. Gli imputati, difesi dagli avvocati Alberto Mascotto, Alessandro Alfano e Alessandro Rinaldi, hanno annunciato che, una volta lette le motivazioni del dispositivo di primo grado, faranno ricorso in Corte d'Appello.

Corocher, che abitava a Vittorio Veneto, era un operaio esperto che aveva partecipato - è stato appurato nel corso del processo, in cui sono stati sentiti tra gli altri gli ispettori dello Spisal che hanno condotto le indagini e alcuni colleghi del 49enne - a tutti i corsi di formazione e sulla sicurezza. Fu centrato alla gola da un legno appuntito staccatosi da un pezzo di rovere su cui stava operando con una macchina rifilatrice. Secondo gli accertamenti l'oggetto era partito improvvisamente dal macchinario colpendo il mastro bottaio al collo, nel punto più fragile sotto il pomo d'Adamo. Come una lancia gli aveva provocato una profonda ferita con conseguente copiosa e fatale emorragia.

I tecnici dello Spisal di Conegliano, sentiti come testimoni dal giudice Carlotta Brusegan, avevano chiaramente detto che la rifilatrice dove stava lavorando la vittima non era a norma e presentava delle carenze in termini di sicurezza sul lavoro. Secondo loro avrebbe dovuto essere dotata di uno schermo in plexiglass ma questa tesi è stata duramente contestata dalle difese che hanno ribadito come la macchina non dovesse essere munita dello schermo e che comunque, data la forza con cui l'enorme pezzo legno si è staccato e la vicinanza a Corrocher, il plaxiglass non avrebbe riparato il povero operaio.

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