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Casa Zero, la Guardia di Finanza scopre 18 milioni di euro non dichiarati per il Superbonus 110%

L'inchiesta dei finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziaria di Treviso ha portato a scoprire ricavi non dichiarati risalenti al 2021. Sono scattate altre tre denunce per il legale rappresentante e altri due amministratori “di fatto. Devono rispondere di dichiarazione infedele

I finanzieri del nucleo di polizia economico-finanziaria di Treviso, nell’ambito dell'inchiesta sulle truffe riguardanti il Bonus 110%, poste in essere da società appartenenti al consorzio "Casa Zero" di Nervesa della Battaglia (che hanno già condotto al sequestro di crediti d’imposta, per circa 32 milioni di euro, oltre a disponibilità finanziarie e immobili per oltre 2 milioni di euro), hanno concluso una verifica fiscale nei confronti di un ente coinvolto nella frode, appurando che, per l’anno d’imposta 2021, non ha annotato ricavi per oltre 18 milioni di euro.

Il legale rappresentante e altri due amministratori “di fatto” sono stati anche deferiti alla Procura della Repubblica di Treviso per il reato tributario di “dichiarazione infedele”. Si è giunti a questo rilievo applicando la normativa che consente di riprendere a tassazione i proventi illeciti derivanti dalla commissione dei reati e per i quali non è stato possibile operare, durante le indagini, sequestri o confische. Nel corso degli accertamenti è emerso che la società verificata, nel 2021, aveva ricevuto somme derivanti dalla “monetizzazione” (presso Poste Italiane S.p.a. nonché diversi istituti bancari) di crediti fiscali generati per lavori edili (mai realizzati) di cui al “Superbonus 110%”, ottenendo quindi una ingente liquidità.

Con quelle somme di denaro erano poi state pagate sia le cospicue parcelle dei professionisti coinvolti nell’inchiesta, sia le fatture emesse, a titolo di consulenza, da un'altra impresa con sede a Roma, addetta esclusivamente all’individuazione di intermediari finanziari interessati all’acquisto dei crediti. Gli esiti della verifica fiscale sono stati quindi trasmessi all’Agenzia delle Entrate che, tenuto conto della pendenza della procedura di liquidazione giudiziale sull’ente e nell’ottica di garantire la tutela delle pretese erariali, potrà valutare la presentazione della domanda di ammissione al passivo.

"L’operazione di servizio" spiega un comunicato delle fiamme gialle "testimonia la costante attenzione della Guardia di Finanza di Treviso nonché dell’Autorità Giudiziaria titolare del fascicolo penale – che ha autorizzato l’utilizzo ai fini fiscali dei dati desunti nel corso delle indagini – al rispetto del principio, sancito nell’art. 53 della Costituzione, per cui ciascuno è tenuto a concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, motivo per il quale i ragguardevoli profitti derivanti dalla truffa in danno dello Stato, essendo comunque espressivi di una manifestazione di ricchezza (sebbene conseguita illegalmente), sono stati recuperati come base imponibile da sottoporre a imposizione".

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