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Cronaca

Veneto Banca, è arrivata in Procura la relazione sui reati fallimentari

La perizia di circa 600 pagine è stata consegnata ai pubblici ministeri Massimo De Bortoli e Gabriella Cama nei giorni scorsi e si fonda sulla dichiarazione dello stato di insolvenza che, dopo due gradi di giudizio, è atteso al vaglio della Corte di Cassazione

Seicento pagine che saranno presumibilmente a "fondamento" delle tesi della Procura di Treviso: il "crac" di Veneto Banca fu il risultato di una "mala gesio" che arrivò al depauperamento e la dissipazione del patrimonio dell'Istituto di credito. E questo avvenne per effetto (ma ovviamente non fu l'unica causa) della  concessione di crediti milionari diventati sofferenze - di cui si conoscevano i rischi - e dei soldi dati a numerosi clienti per acquistare le azioni dell'ex popolare (le cosiddette baciate) precipitate poi ad un valore prossimo allo zero. Fatti che, alla luce dello stato d'insolvenza che era stato confermato nel dicembre del 2019 dalla Corte di Appello di Venezia, fanno propendere verso la tesi che si sarebbe al cospetto dei cosiddetti reati fallimentari, in particolare di una colossale bancarotta fraudolenta.

Questo è il contenuto della relazione, commissionata ad un esperto universitario, arrivata nelle scorse settimane sui tavoli dei pubblici ministeri che continene in sé tutte le accuse contenute nel fascicolo d'indagine aperto dai sostituti procuratori di Treviso Massimo De Bortoli e Gabriella Cama che, proprio per i reati di bancarotta, hanno iscritto sul registro degli indagati i nomi di Vincenzo Consoli e di altre otto persone, tutte figure di primo piano del management dell'istituto di credito.

A fare da innesco all'inchiesta sui reati fallimentari era stata proprio la dichiarazione dello stato di insolvenza, arrivata nel giugno del 2018 dai giudici del Tribunale di Treviso e confermata in Appello alla luce dell'esito della perizia effettuata dal professor Lorenzo Caprio, ordinario di Finanza all'università Cattolica di Milano. Il quesito posto a Caprio dai giudici veneziani riguardava l'accertamento dell'ammontare delle passività di Veneto Banca alla data del 25 giugno del 2017, cioè quando l'ex popolare venne messa in liquidazione coatta amministrativa dal governo Gentiloni, per arrivare anche alla determinazione, sempre con riferimento a quella data, del più verosimile valore di realizzo dei cespiti entro un orizzonte temporale che fosse tale da consentire di massimizzare i ricavi destinati all'integrale pagamento dei creditori. La risposta era contenuta in 254 pagine di relazione in cui il perito delineava quattro scenari valutativi. In nessuno, neppure nell'ipotesi più favorevole, la liquidazione si sarebbe potuta chiudere in bonis: nel primo caso le passività ammontano infatti a 2 miliardi e 285 milioni di euro, nel secondo a 1 miliardo e 313 milioni, nel terzo a 1 miliardo e 761 milioni e nel quarto, il più ottimistico, a 920 milioni di euro. La messa in liquidazione della ex popolare deve comunque ancora passare al vaglio della Corte di Cassazione

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