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Cronaca Vittorio Veneto

Armi e munizioni nascoste in un canale, la Procura chiede 4 anni per Milacic

Il 53enne di Carpesica, condannato in primo grado per l'attentato al Liceo Flaminio di Vittorio Veneto avvenuto nella notte tra il 2 e il 3 giugno del 2018, si sarebbe voluto liberare di alcuni Ak-47 e di minuzioni ritrovate poi a Scomigo di Conegliano

Quattro anni di reclusione. Questa è la richiesta fatta oggi, 19 marzo, dal pubblico ministero Massimo De Bortoli alla fine della sua arringa nel processo che vede sul banco degli imputati Stefano Milacic (difeso dagli avvocati Giuseppe Gulli e Alessandra Rech), 53enne residente a Carpesica, accusato di possesso illegale e detenzione di armi, munizioni ed esplosivi. La sentenza verrà emessa il prossimo 9 luglio.

Milacic, autore presunto dell'attentato dinamitardo al liceo Flaminio di Vittorio Veneto avvenuto nella notte tra il 2 e il 3 giugno del 2018 - per il quale l'uomo è stato condannato in abbreviato a due anni e quattro mesi di reclusione (l'appello deve essere ancora fissato) - avrebbe nascosto caricatori, munizioni e pezzi di fucile mitragliatore Ak-47 smontati dentro a due sacchi che erano stati ritrovati in una canaletta artificiale dell'Enel a Scomigo di Conegliano.

Le indagini erano collegate ai fatti del Liceo Flaminio. Il 53enne, intercettato al telefono, avrebbe parlato con alcuni conoscenti sul come acquistare gli Ak-47 in maniera clandestina. Poi nell'autunno del 2018, grazie alle attività investigative, la Digos pensò di poter mettere le mani su un possibile carico sospetto. Il 5 novembre le Operazioni Speciali perquisirono un capannone a Vittorio Veneto di proprietà di un 42enne conoscente di Milacic: l'operazione venne fatta scattare dopo che il 47enne e il conoscente furono intercettati telefonicamente la sera del 1 novembre, quando Milacic chiamò il proprietario del capannone chiedendo se poteva dargli uno spazio per un bidone da conservare per qualche tempo. «Dentro - avrebbe spiegato Milacic - c'è farina per fare polenta». Il contenitore restò però nel capannone solo una notte; la mattina successiva il 53enne sarebbe infatti andato a riprenderlo. Per gli investigatori dentro al bidone non c'era farina ma le armi che saranno poi ritrovate, nel marzo del 2019, nel canale. Quando la Digos arriva sul posto non viene trovato nulla. Forse Milacic, che al tempo dei fatti aveva capito di essere nel mirino per la bomba al Flaminio, si sentiva braccato e voleva disfarsi delle armi di cui è un collezionista e grande appassionato, tanto da farsi riprendere con mitragliatori in foto che poi pubblica sui social network.

Una delle prove a carico del 53enne sarebbe stata la "traccia" rilevata tramite Gps del passaggio della sua macchina sul luogo dove fu ritrovato uno dei sacchi che all'interno conteneva munizioni per armi comuni. "Ma quello che il navigatore satellitare rileva - ha detto oggi in aula l'avvocato Giuseppe Gulli - è sì il passaggio dell'auto di Milacic che però non si ferma. E' impossibile che l'uomo abbia buttato il sacco con le munizioni oltre una siepe ed una recinzione senza scendere dal veicolo. Quanto al secondo ritrovamento, quello dei pezzi smontati di Ak-47, le registrazioni del Gps non hanno fatto rilevare alcun movimento di automobili e quindi le armi non sono state nascoste da lui".

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