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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Cittadinanzattiva Treviso torna sul tema delle carceri

Alcune riflessioni di Giancarlo Brunello, segretario generale dell'assemblea territoriale di Cittadinanzattiva Treviso, in merito alle condizioni dei detenuti nelle carceri italiane, avevano destato preoccupazione e non condivisione in alcune persone. Ecco perché sono d'obbligo alcune precisazioni. "Le carceri non sono lager".

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di TrevisoToday

Vorrei tornare sul tema delle carceri e sulle condizioni dei detenuti al loro interno. Tema a me molto caro, ma anche delicato, in alcuni casi problematico, rispetto al quale è giusto essere il più precisi possibile nell'espressione di opinioni e giudizi, poiché parliamo di persone, di tante persone, siano esse detenute negli istituti di pena, ma anche tutti coloro che per una serie di motivi ogni giorno si recano in carcere, per permettere a questo sistema di funzionare, seppure con le sue lacune e inadeguatezze. La descrizione da me avanzata in alcune discussioni sul tema, potrebbe indurre a considerare che il sistema carcerario possa essere paragonato e pensato come una sorta di lager. Cosa assolutamente non vera e che non appartiene alla mia cultura o considerazione. A maggior ragione, sarebbe un approccio in totale contraddizione con l'impegno che rivesto come volontario, verso questo mondo, assieme all'associazione Cittadinanzattiva. La frase inopportuna che ho usato più volte e che potrebbe risultare fuorviante, è questa: "Il carcere è soprattutto privazione, non solo perdita della libertà personale. Privazione totale: non si può telefonare quando si vuole, non si può mangiare quello che si vuole, non si possono vedere le persone amate quando si vuole, non si può assumere neanche una compressa per il mal di testa. E per qualunque situazione, devi chiedere il permesso a qualcuno. Pensate che cosa significa trascorrere anche solo un anno, o solo un mese, anche solo un giorno direi, dovendo dipendere da altre persone che devono valutare l’esigenza effettiva della richiesta. E quindi valutare se autorizzare in positivo o in negativo”. Questa frase, l’ho ripresa più volte nelle mie riflessioni. Essa è contenuta nel libro di Cosima Buccoliero "Senza sbarre. Storia di un carcere aperto", Einaudi Editore. Affermazione, a quanto so, che non è mai stata contestata da nessuno, come il resto del libro. Oltre a questo, ho ritenuto assai credibile la fonte, trattandosi della dottoressa Buccoliero, persona di caratura nel mondo carcerario, che è stata direttrice di alcuni istituti carcerari italiani, mentre oggi lo è della Casa circondariale di Torino “Lorusso e Cotugno”. Detto questo, posso anche supporre di aver sbagliato il contesto. Comunque sia, è giusto e corretto precisare meglio. Due sono i punti che, seppure in modo diverso, non sono stati condivisi da alcuni miei lettori. La prima è l'affermazione che, quando le persone vengono recluse, con questo perdono la libertà. La stragrande maggioranza dei detenuti odierni, 56.700 circa, sono in carcere perché hanno commesso dei delitti. La maggior parte di loro, deve scontare delle sentenze emesse dalla Magistratura. Anche noi spesso solleviamo delle riserve in merito, perché pare che la parte punitiva sia maggiore di quella rieducativa. Quella stabilità, raccomandata e in qualche modo imposta dalla Costituzione italiana all'articolo 27: "La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". Seconda considerazione importante, è che la frase da me adottata - per essere compresa compiutamente - deve essere collocata “nel contesto giusto", al riguardo di un giudizio e interpretazione. Inoltre, per evitare la considerazione che tutti i gatti siano bigi, occorre precisare che il sistema penitenziario italiano è costituito da diverse Case circondariali (carceri) e penitenziari. Quindi, la valutazione e il giudizio devono essere commisurati tenendo conto di ogni singola realtà circondariale. Per esempio, nel nostro territorio, alla Casa circondariale di Santa Bona di Treviso, da quello che conosciamo, i contatti dei detenuti con le loro famiglie sono assicurati tramite telefono, skype o colloqui in presenza. Vi è poi un'attenta e continua attività culturale e di socializzazione di qualità. Tutto questo ci consente, senza nessuna difficoltà, di precisare e di affermare che le carceri italiane non sono dei lager. Giancarlo Brunello Segretario Assemblea Trevigiana di Cittadinanzattiva.

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