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Lunedì, 29 Aprile 2024
Economia

Grandi dimissioni e lavoro che cambia, l'indagine di Fisascat Cisl Belluno Treviso

In fuga dal terziario: quasi il 60% delle dimissioni riguarda un lavoratore o una lavoratrice dei servizi, del commercio o del turismo. La segretaria Patrizia Manca: «L’insoddisfazione del personale dipendente e la mancanza di risorse sono una realtà con cui dobbiamo fare i conti»

In cosa consiste il fenomeno delle dimissioni volontarie per i settori di commercio e terziario? E' la domanda a cui ha tentato di dare una risposta una ricerca  ideata dalla segretaria generale Fisascat Cisl Belluno Treviso Patrizia Manca, con il coordinamento tecnico dei ricercatori Francesco Peron e Stefano Dal Pra Caputo, promossa e condotta da Fisascat Cisl Belluno Treviso e presentata nei giorni scorsi al Consiglio generale, alla presenza di Massimiliano Paglini, segretario generale Cisl Belluno Treviso, Davide Guarini, segretario generale Fisascat e di Giovanni Battista Comiati, segretario generale della Fisascat Veneto.

L’indagine è stata condotta su un campione di 474 lavoratori/lavoratrici del commercio e dei servizi nei mesi di febbraio e marzo 2023 nelle province di Treviso e Belluno. I lavoratori coinvolti nell’indagine sono in maggioranza (72%) donne - a conferma del fatto che il terziario è un settore altamente femminilizzato - in larga parte compresi nelle due fasce centrali di età 45/54 e 55/64 anni e per l’85% assunti con contratto a tempo indeterminato (solo il 10,55% a tempo determinato) tanto che il 48% di loro lavora in azienda da un minimo di 10 a oltre 20 anni. Circa la metà (48%) è in possesso di diploma di scuola superiore. La maggioranza (il 57%) ha da 1 a 2 figli e circa il 30% ha anziani da accudire in famiglia. La maggioranza degli intervistati (90%) si reca al lavoro in auto e affronta percorrenze quotidiane variabili tra i 10 e i 20 chilometri. La quasi totalità dei rispondenti all’indagine (94%) non è stagionale perché ha lavorato tra i 10 e i 12 mesi all’anno per una media variabile tra le 30 e le 40 ore settimanali. Per quanto riguarda la formazione, circa il 34% dichiara di essere inserito in percorsi di formazione. Il campione appare quindi corposo, eterogeneo, ben rappresentativo di un settore ampio e diversificato come quello del terziario, che spazia dal commercio tradizionale ai servizi di terziario avanzato.

Il fenomeno delle dimissioni volontarie è sempre più diffuso. Nel 2022 in provincia di Treviso le persone che hanno lasciato volontariamente il lavoro sono state 41.905, a Belluno 8.920, per un totale di 50.825 nelle due province. Un numero record, che supera il totale di 43.935 del 2021 (36.075 a Treviso e 7.860 a Belluno). Un fenomeno che riguarda particolarmente il terziario: il 58,74% delle dimissioni del 2022 riguarda un lavoratore o una lavoratrice dei servizi, del commercio o del turismo, per un totale di 24.030 dimissionari nel terziario nella Marca e di 5.825 nel terziario bellunese. L’andamento della cosiddetta great resignation d’altronde registra dal 2019, quindi ancora prima della pandemia, una crescita imponente e progressiva, variabile fra il 25% e il 58% nel settore dei servizi. Più della metà dei rispondenti (58%) si dichiara soddisfatta del lavoro che fa, mentre la restante parte, pari a circa il 40%, pensa al cambiamento di lavoro, dividendosi tra chi cerca attivamente e chi vorrebbe cambiare, ma non ha ancora iniziato a cercare.
Tra le cause di insoddisfazione ricorrono e s’intersecano, la generale mancanza di gratificazione, la scomodità logistica, i carichi di lavoro eccessivi, l’esiguità della busta paga, la scarsa possibilità di crescita, la mancanza di flessibilità.

Nelle risposte, la maggioranza dei lavoratori opera in aziende che erogano welfare “classici”: in larga misura buoni pasto, assistenza sanitaria integrativa, servizi di trasporto e supporto per l’accesso ai mutui. Spicca la percentuale, sui “desiderata”, di quel 63% dei lavoratori, che chiede (e crede) in un welfare più ampio e diversificato, con ricadute e dimensioni ancora più sociali che consentano, sia al dipendente che all’azienda, di entrare nella galassia che esce dallo schema rigido del buono pasto e si addentra verso dimensioni più sociali che includono il supporto per anziani e fragili, l’istruzione dei figli, gli asili nido, lo sport. Quanto alle politiche attive, colpisce la percentuale di lavoratrici e lavoratori (supera il 50%) che o non conosce, o anche se conosce non aderisce, a fondi integrativi e alla bilateralità.

«Questa indagine ci conferma che, così come cambia il lavoro, deve cambiare anche il nostro modo di approcciare e affrontare il lavoro che cambia - dichiara Patrizia Manca, segretaria generale Fisascat Cisl Belluno Treviso -. L’insoddisfazione del personale dipendente e la mancanza di risorse sono una realtà con cui dobbiamo fare i conti. La soluzione non è perdere i lavoratori/lavoratrici e aumentare i turnover, ma far crescere le aziende e contribuire, in maniera propositiva, a cambiare il mondo del lavoro, assegnando ad esso nuove dimensioni, come quella sociale ben espressa e richiesta da questa indagine».

«Oggi - prosegue Manca - è emerso che il lavoro non è un’equivalenza tra tempo impiegato e stipendio ottenuto, ma una dimensione della vita di ciascuno che deve fornire, oltre che un reddito, un valore aggiunto in termini di benessere e crescita professionale e individuale. Più welfare e maggiore armonizzazione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro sono due ambiti nei quali si dovrà concentrare anche la bilateralità, di fatto l’unico strumento oggi a disposizione per proporre soluzioni e nuovi schemi. In questi anni di pandemia e post pandemia, si stanno affacciando nuove leadership e nuove consapevolezze: la flessibilità assume contorni inaspettati nel momento in cui risponde a obiettivi, il lavoro da remoto prende le mosse da un patto di fiducia che va regolamentato e costruito, la crescita formativa può liberare risorse e progettualità, così come, pensando all’ambiente, occorre mettere in atto le prime progettualità sui trasporti. Sul fronte mobilità e spostamenti siamo ancora molto indietro, quando invece l’ambiente ci chiede di ridurre emissioni e limitare l’uso individuale dei veicoli a motore».

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