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Cronaca Vittorio Veneto

Foto e video pedopornografici nel cellulare, finisce a processo

Manuel Botteon, pregiudicato 42enne, attualmente in carcere a Santa Bona per alcuni furti in chiesa, deve difendersi dalla pesantissima accusa di detenzione di immagini intime di giovanissimi

Ha un passato di denunce, arresti e varie condanne  come ladro di elemosine. Ma attualmente deve discolparsi in un processo per detenzione di materiale pedopornografico, in quantità così ingente da costituire un’aggravante. Protagonista della vicenda è Manuel Botteon, 42enne, attualmente in carcere a Santa Bona in relazione a quella che era la sua specializzazione e cioè i furti in chiesa, operati con stecche di metallo alle quali applicava bioadesivo o colla per riuscire a prelevare le monetine dalle cassette. A portarlo alla pesantissima accusa di detenzione di video e immagini pedopornografiche il contenuto del suo telefonino. Il 14 novembre 2015, mentre a Treviso si celebrava un processo per altre elemosine rubate, era infatti stato pizzicato dai carabinieri a rubare per l’ennesima volta nella cattedrale di Ceneda, a Vittorio Veneto.

In quell’occasione i militari avevano operato una perquisizione personale e domiciliare al 42enne; gli avevano chiesto se voleva avvisare qualcuno e Botteon ha risposto: «Si mia madre, ma non ricordo il numero, eccovi il cellulare». Ma dentro, oltre alla rubrica, i militari hanno scovato centinaia di immagini ritraenti giovani in pose indecenti: per l'esattezza sette video e 280 fotografie che ritraevano minorenni nudi, in pose sessualmente provocanti o nell’atto di compiere atti sessuali, tra loro o con adulti. Per l’uomo è scattata l’accusa di detenzione di materiale pedopornografico, con l’aggravante di averne detenuta un’ingente quantità. Una volta chiusa l’indagine, il pubblico ministero veneziano Alessia Tavarnesi ha chiesto e ottenuto per il 42enne, difeso dall’avvocato Andrea Zambon, il rinvio a giudizio. 

«Al tempo - ha detto Botteon in aula durante il processo - ero ospitato all'interno di un convitto e quel cellulare non era il mio personale, ma un telefono che ci era stato dato ed  era in uso ad altre persone. Qualcuno che evidentemente ha scaricato quelle immagini, non sono io il pedofilo». L'udienza, aggiornata a gennaio, vedrà salire sul banco dei testimoni un altro ospite del rifugio promosso da un'associazione religiosa che dovrebbe confermare la tesi dell'imputato.

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