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Cronaca Vittorio Veneto

Omicidio Vaj: dai messaggi delle presunte assassine emergerebbe la premeditazione

“Quello lo voglio morto” avrebbe scritto Angelica Cormaci in un messaggio a Patrizia Armellin poco prima di uccidere l'uomo

"Lo voglio morto". E' la frase che Angelica Cormarci ha scritto in un sms a Patrizia Armellin solo qualche settimana prima dell'omicidio di Paolo Vaj avvenuto la notte del 18 luglio scorso. Per il pubblico ministero Davide Romanelli, che ha indagato entrambe le donne con l'accusa di omicidio volontario, potrebbe essere questa la prova che l'assassinio fu premeditato. La conversazione emerge dal materiale che è stato recuperato dal consulente della Procura di Treviso che ha analizzato il contenuto dei computer e dei telefonini della Cormaci, di Vaj e della Armellin. La chat tra le donne, che sono detenute in custodia cautelare nel carcere femminile di Venezia, è rimasta nella memoria dello smartphone della 24enne siciliana che neppure un mese prima dell'omicidio scrive a Patrizia: "La deve smettere, altrimenti io lo voglio morto". Le parole della Cormaci farebbero riferimento alla tensione che si respirava nella casa di Via Cal dei Romani a Vittorio Veneto dove i tre protagonisti vivevano insieme e in cui i litigi sarebbero stati all'ordine del giorno. 

Per il gip di Treviso che ha firmato l'ordinanza di custodia cautelare la Cormaci era in uno stato di soggezione psicologica nei confronti della Armellin, tesi che verrebbe indirettamente confermata anche dai primi riscontri della perizia psichiatrica sulle due donne effettuata dal consulente dei difensori secondo cui Angelica Cormaci ha una parziale incapacità di intendere causata da una sindrome di alienazione che le impedirebbe di percepire e valutare la realtà in maniera corretta e che la espone a relazioni personali  improntate ad un ruolo di succube. Mentre la Armellin sarebbe affetta da disturbi che potrebbe essere lo strascico di una forte depressione che la donna ha accusato nel 2006 dopo aver ceduto l'attività di vendita di legname che gestiva con l'ex marito e che negli anni successivi l'avrebbe portata ad accessi alle strutture di salute mentale, prima ad Ancona e poi a Treviso.

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