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Cronaca

Sit-in degli autonomi davanti alla Prefettura, il processo andrà in prescrizione

Il procedimento contro 34 attivisti di Django, accusati di aver causato, nel 2015, una interruzione di pubblico servizio, andrà in soffitta a gennaio. Oggi, 28 settembre, si sarebbe dovuta pronunciare la sentenza, rimandata però a marzo inoltrato

Si prescriverà a gennaio il processo che vede alla sbarra 34 attivisti che orbitano intorno al Centro Sociale "Django" di Treviso. L'udienza di oggi, 28 settembre, avrebbe dovuto coincidere con la lettura della sentenza ma il giudice ha rinviato per le dicussione a marzo inoltrato. Il risultato è che del procedimento non se ne farà nulla.

I giovani autonomi (Sergio Zuliani, Lorenzo Brigida, Enrico Mussomeli, Ruggero Sorci, Erika Marchi, Giulia Falcone, Davide Giacometti, Ettore Casellato, Tina Fasan, Carlo Geromel, Mattia Barbirato, Raffaella Senegaglia, Susanna Moro, Niccolò Onesto, Gaia Zuliani, Filippo Lunian, Gaia Alberti, Chiara Buratti, Massimiliano Palma, Stefano Dall'Igna, Ottavia Clemente, Nur Brijawi, Marlon Kevin Gonzato, Giorgio Cappellazzo, Lisa Giacon, Marcello Cattapan, Riccardo Trevisan, Tommaso Gandini, Antonio Pio Lancellotti e Nicola Munerati Faes)  erano accusati di interruzione di pubblico servizio per fatti che sarebbero accaduti nel luglio del 2015 quando, quando, accompagnati da alcuni richiedenti asilo, avevano occupato Piazza dei Signori, andando poi a bloccare l'ingresso della Prefettura. 

Una manifestazione di protesta che, visto il dispiegamento di forze dell'ordine, era sfociata in tafferuglii. Il motivo del sit-in riguardava i fatti accaduti la sera precedente a Quinto di Treviso, dove alcuni residenti assieme a frange di estrema destra avevano dato fuoco ad alcuni mobili e materassi destinati ai profughi, che nei due condomini tra via Legnago e via Maestri del lavoro erano stati trasferiti seguendo le direttive sull'accoglienza in vigore al tempo.

I 34 imputati (difesi tutti dall'avvocato Giovanni Romano) avevano deciso di affrontare il processo opponendosi ad un decreto penale di condanna.

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