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Cronaca Mansuè

Nome di un cane scambiato con il termine criptato per indicare la droga, 40enne assolto

«Quando porti poison?» Frasi come questa sarebbero state, secondo la Procura, la prova del coinvolgimento di un romeno di Mansuè nello spaccio di stupefacenti, ritrovati nel garage di casa sua. La difesa ha dimostrato che "Poison" era in realtà un Amstaf

«Quando porti poison?» Frasi come questa, contenute in messaggi telefonici, sarebbero state, secondo la Procura, la "prova" del fatto si fossero messi in "società" per spacciare droga. Ma gli investigatori avrebbero scambiato Poison (in inglese "veleno"), che il nome di un cane, per il termine “criptato” con cui i due avrebbero chiamato le partite di droga. Così il gip Carlo Colombo, chiamato giudicare un cittadino romeno accusato di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio che aveva chiesto l'abbreviato, alla fine lo ha assolto anche se solo con la vecchia formula dubitativa.

La vicenda era avvenuta a Mansué nell'aprile del 2031. Il 40enne finito a processo era proprietario di un garage che aveva prestato temporaneamente ad un connazionale suo conoscente. Dentro, era la tesi difensiva, avrebbe dovuto trovare riparo temporaneamente uno scooter. Ma nel corso di un blitz i carabinieri avevano ritrovato, nascosti all'interno del locale, 64 grammi di cocaina e 40 grammi di marijuana, corrispondenti a 175 dosi di polvere bianca e 164 spinelli. L'operazione della forze dell'ordine era nata da una serie di pedinamenti del tizio che si faceva prestare il garage, che è un nome noto agli inquirenti: si tratta infatti di Renato Eduard Gherban, un 30enne conosciuto negli ambienti dello spaccio, con alle spalle precedenti importanti, che era stato accusato di essere il pusher che gestiva il traffico nelle piazza di Oderzo, Mansuè e Gorgo al Monticano. E' seguendo i suoi movimenti che è stato individuato il magazzino della droga, che Gherban avrebbe utilizzato per la preparazione in vista delle future cessioni ad un platea di clienti estremamente variegata.

Nel corso del procedimento (l'uomo era difeso dall'avvocato Paolo Pastre) aveva reso testimonianza anche la moglie del 40enne. «Mio marito non si droga e non è uno spacciatore - aveva detto - lui è una persona semplice, pensa solo al lavoro. Aveva conosciuto Renato mentre passeggiava con il suo Amstaf ed erano entrati in confidenza dal momento che noi abbiamo un amico a quattro zampe della stessa razza». Ma tra le prove del coinvolgimento anche del proprietario del garage c'era il contenuto di chat telefoniche. In particolare alcune in cui i due romeni facevano riferimento a “Poison”. In una, appunto, veniva chiesto quando sarebbe stato portato a casa. Il pubblico ministero riteneva che i messaggi e quella parola fossero la "pistola fumante" che dimostrava come il romeno avesse concesso il garage sapendo l'utilizzo che ne avrebbe fatto Gherban. Fino a quando il difensore ha tirato fuori dal cilindro il proverbiale coniglio: Poison è infatti il nome del cane di razza Amstaf che appartiene allo spacciatore. Il 40enne insomma non avrebbe saputo nulla della droga e quelli trovati tra le comunicazioni telefoniche sarebbero solo delle domande fatte durante delle innocenti conversazioni.

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